Hanno avuto un opportuno risalto le recentissime conclusioni espresse dall’Avvocato Generale della UE nella causa C-252/21 che vede contrapposti la Meta Platform (Facebook) e l’Autorità Garante dell’Antitrust tedesca. Secondo l’Avvocato Generale, un’autorità garante della concorrenza può, nell’esercizio delle proprie competenze, tener conto della compatibilità di una prassi commerciale con il regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR). E quindi, la dimostrazione di un comportamento concorrenziale scorretto può essere evinto anche dal mancato rispetto della politica commerciale con riferimento al GDPR.
In estrema sintesi, per quanto interessa, la causa in questione trae origine dall’impugnazione da parte di Meta di un provvedimento dell’antitrust tedesca con il quale veniva contestata, tra l’altro, la violazione del GDPR nei trattamenti per finalità di marketing.
Difatti, gli utenti di Facebook, per poter accedere ai servizi, sono obbligati ad accettare le condizioni d’uso della piattaforma, tra cui quelle che consentono a Meta di raccogliere dati personali del medesimo utente anche da altre proprie piatteforme, siti web e applicazioni: pensiamo solo a Instagram, WhatsApp e i cookie installati sul computer.
In tal modo, Meta raccoglie i dati personali che l’utente “dissemina” nel corso della navigazione, finendo per profilarlo al fine di inviare annunci personalizzati tramite la piattaforma Facebook.
L’Autorità Antitrust tedesca ha ritenuto questo trattamento dei dati massivo come uno sfruttamento abusivo della posizione dominante di Meta, motivandolo come non conforme a quanto previsto dal GDPR.
Meta Platform, nella causa in oggetto, ha eccepito l’incompetenza dell’Autorità Garante dell’Antitrust tedesca nel valutare comportamenti non conformi alla normativa sulla protezione dei dati personali, in quanto tale materia dovrebbe essere di esclusiva competenza dell’Autorità Garante preposta. Si segnala che la medesima contestazione era stata mossa da Meta anche in Italia, ma tale interpretazione era stata respinta prima dal TAR Lazio e successivamente dal Consiglio di Stato (Sent. 2630 e 2631 del 2021)
Si segnala inoltre che l’Avvocato Generale, sempre nelle citate conclusioni contesta inoltre che un dato condiviso sui social possa considerarsi pubblico – e quindi liberamente utilizzabile – senza un’esplicita volontà da parte dell’utente che lo ha pubblicato, non potendosi ricavare tale volontà da meri fatti concludenti (es. navigazione su un sito); interrogandosi anche sulla eventuale “validità” del consenso reso da un utente nei confronti di un gigante del web (parte forte del rapporto).
Giova ricordare per “i non addetti ai lavori” che le conclusioni dell’Avvocato Generale non vincolano la Corte di Giustizia. Il compito dell’Avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte cominciano adesso a deliberare in questa causa. Attendiamo quindi la sentenza per verificare che la Corte riterrà di condividere le indicate conclusioni.