Il tema della manifestazione della volontà on line da parte minore assume un particolare interesse in quanto coinvolge diversi e delicatissimi aspetti: personali, giudici ed economici.
Il GDPR, in tema di consenso e diritti fondamentalissimi, con particolare riferimento alla tutela della riservatezza ed alla cessione di dati personali, ha previsto una deroga alla disciplina ordinaria, abbassando la soglia d’età necessaria per manifestare, con effetti giuridici rilevanti, la propria volontà. Il compimento dei sedici anni o di età diverse, purché superiori ai tredici anni, stabilite dagli ordinamenti nazionali, consente dunque al minore di cedere validamente i propri dati all’internet services provider; in Italia, ad esempio, l’età minima è stata fissata a 14 anni. L’abbassamento della soglia del consenso, dettata principalmente da esigenze prasseologiche, comunque, resta confinato alla materia della cessione di dati online, mentre non investe gli altri atti a valenza giuridica che possono essere posti in essere.
La stipula di contratti sul web da parte del minore, in particolare, non compromettendo diritti fondamentali, quali l’integrità psico-fisica, la reputazione e l’onore, assume spesso una risonanza secondaria; tale minor interesse è giustificato anche dal fatto che spesso i minori concludono contratti online con l’assenso dei genitori, entro una soglia economica quindi già definita, ad esempio con una carta prepagata.
Cionondimeno, i profili giuridici sottesi alla questione suscitano particolare interesse.
Rispetto alla questione della stipula di contratti on line, e quindi dell’incontro tra una proposta ed una accettazione attraverso una piattaforma digitale, continuano a valere le regole sulla maggiore età e sulla capacità di agire, previste dalla disciplina civilistica.
Il fenomeno della stipula dei contratti online da parte dei minori, del resto, sta assumendo una dimensione molto estesa. Pensiamo alla diffusione del gaming online ed alla facilità di accesso agli acquisti in-app o tramite point and click. Secondo quanto emerge dal Report Istat 2022 sul rapporto tra cittadini e ICT, il 46,1% dei giovani di età compresa tra i 14 ed i 17 anni ha effettuato almeno un acquisto online negli ultimi 12 mesi. Il dato è particolarmente significativo, soprattutto se confrontato con quello rilevato appena tre anni prima; solo nel 2019, infatti, la percentuale si attestava al 40,1%. Lo shopping online, dunque, non è più un’attività di nicchia, riservata a pochi avanguardisti, ma è pratica quotidiana per la maggior parte dei nuclei familiari, ed ormai diffusa anche tra i più piccoli.
Si pone, dunque, il problema della compatibilità del diritto interno con attività negoziali realizzate online da chi ancora non abbia acquisito la capacità di agire, ai sensi dell’art. 2 c.c., non avendo di fatto compiuto i diciotto anni. Il D. LGS. 70/2003, in materia di commercio elettronico, stabilisce all’art. 3 che “i servizi della società dell’informazione [ossia le attività economiche ed i servizi svolti o prestati online] forniti da un prestatore stabilito sul territorio italiano si conformano alle disposizioni nazionali applicabili nell’ambito regolamentato”. Se ne deduce, pertanto, che saranno applicabili anche in ambito di e-commerce le disposizioni del codice civile poste alla base della disciplina negoziale, ed in particolare quelle riferibili alla capacità di agire ed alla validità degli atti posti in essere.
L’art. 1425 c.c., in proposito, stabilisce l’annullabilità del contratto concluso dall’incapace, e dunque anche dall’infradiciottenne; legittimati a far valere la causa d’invalidità, in questa ipotesi, saranno il minore stesso, al raggiungimento della maggiore età, o un suo rappresentante legale. La norma successiva, in ogni caso, prevede una deroga a tale disciplina generale, stabilendo che, quando il contratto sia concluso da un soggetto che, con raggiri, abbia celato la propria età, viene meno la causa di annullabilità. La disposizione, in tale prospettiva, riveste una duplice funzione; da un lato, infatti, tende a tutelare l’affidamento del contraente incolpevole che abbia senza colpa confidato nella veridicità delle informazioni fornite dalla controparte, e dall’altro responsabilizza il minore.
Occorre, in ogni caso, sottolineare che la giurisprudenza di legittimità ha escluso che la mera dichiarazione di avere compiuto i diciotto anni sia tale da integrare un raggiro, richiedendosi qualche elemento ulteriore dotato di efficacia decettiva, quale la presentazione di un documento falso o l’allegazione di ulteriori informazioni comprovanti la maggiore età. La questione dell’acquisto online, tuttavia, è più spinosa; manca, infatti, un rapporto diretto tra acquirente e venditore, e l’accertamento dell’età si basa, spesso, sulla mera dichiarazione dell’utente. Mancano, di fatti, elementi che possano indurre il contraente a dubitare dell’età dell’altro, e che possano legittimare un approfondimento circa i requisiti necessari a contrarre. Potrebbe ritenersi, dunque, che nell’ambito dell’e-commerce la tutela dell’affidamento del venditore imporrebbe di ritenere anche la semplice dichiarazione di avere compiuto i diciotto anni come sufficiente ad integrare un’ipotesi di raggiro.
Una volta che l’acquisto è stato eseguito, dunque, occorre distinguere tra due diverse ipotesi: quando il minore abbia comunicato, per effettuare l’ordine, i propri dati personali, inclusa l’età, l’acquisto sarà sempre annullabile. Nel diverso caso in cui l’infradiciottenne si sia avvalso dell’identità altrui, ad esempio comunicando informazioni riguardanti un genitore, dovrà ritenersi operante l’art. 1426 c.c., ed il contratto sarà valido e produttivo di effetti. A mezza via si pone, poi, l’ipotesi in cui il minore abbia utilizzato i propri dati, ma dichiarando di aver compiuto i diciotto anni; rispetto a tale situazione, si auspica in una delucidazione da parte della giurisprudenza sulla disposizione normativa cui poter fare riferimento.
Occorre evidenziare, in ogni caso, che l’azione di annullamento di acquisti effettuati su internet pone un ulteriore elemento di difficoltà, ossia l’onere della prova. Non sempre, infatti, potrà risultare agevole per il ricorrente la dimostrazione sull’identità di chi abbia effettivamente realizzato l’acquisto e la conseguente riconducibilità dello stesso ad un soggetto minorenne.
Del resto, come acutamente osservato da alcuna dottrina (v. G. Alpa, I contratti del minore. Appunti di diritto comparato, in Contratti, 5, 2004, p. 517), l’assenza di pronunce giurisprudenziali è sintomatica della scarsa litigiosità che il fenomeno sottende; le ragioni alla base della reticenza ad agire giudizialmente per l’annullamento, difatti, sono diverse. Al di là delle difficoltà probatorie, si pone un tema di carattere economico: mentre l’atto, spesso, è compiuto per un modesto valore, i costi della giustizia sono notevoli, e determinano una forte portata dissuasiva. A tali difficoltà si aggiungono quelle inerenti la giurisdizione ed l’individuazione del foro di competenza, trattandosi frequentemente di operazioni su base transfrontaliera. Spesso manca, infine, anche un interesse effettivo del legale rappresentante, a far valere l’invalidità, con la conseguenza che, nella prassi, si assiste ad un fiorire di operazioni giuridicamente invalide, ma di fatto produttive di effetti e capaci di alimentare una florida economia.